Cosa potrebbe esserci di più semplice della comunicazione? Dire: “Dammi 1 Kg di pane” oppure “Oggi sono triste”, che messaggio passerà? Esattamente quello che abbiamo inviato. Non riceveremo pomodori al posto del pane e nessuno si rallegrerà con noi dopo avergli manifestato la nostra tristezza. Abbiamo una cosa da dire, la diciamo e gli altri ora lo sanno Chiedete loro come stanno e loro rispondono. Comunicare è così semplice. Eppure ci sono tonnellate di libri, infinite conferenze. Perché lezioni o addirittura studiosi su questo argomento nelle università e nelle più importanti aziende? Sembra che non abbia senso.

 

Effettivamente, comunicare è molto semplice, noi ci esprimiamo e gli altri capiscono. Funziona proprio così. Dobbiamo solo aggiungere un paio di precisazioni. La prima è che spesso non ci accorgiamo di quello che comunichiamo e finiamo col dire quello che non volevamo. Siamo i sabotatori di noi stessi, vogliamo dire una cosa e ne diciamo un’altra, vogliamo trasmettere un’emozione rassicurante e finiamo col lasciare perplesso il nostro interlocutore. Perché succede? Spesso è il nostro corpo che manda messaggi diversi da quelli che vorremmo. Il linguaggio verbale passa molti controlli della nostra mente razionale, mentre il linguaggio del nostro corpo usa delle scorciatoie e taglia per primo il traguardo della comunicazione arrivando prima della parola e in modo più convincente. Già, perché il linguaggio del corpo non solo è più veloce, ma anche più convincente. Ci fidiamo maggiormente di chi parla bene o di chi si comporta bene? La nostra mente ascolta con più fiducia un ‘fare’ piuttosto che un ‘dire’. Quindi il primo aspetto su cui lavorare è conoscere ciò che ci muove, quali sono le più profonde motivazioni e anche quali sono le paure che ci muovono. Conoscendoci meglio sapremo meglio comportarci perché saremo più consapevoli di quale ‘aereo’ stiamo pilotando, sta arrivando una burrasca, abbiamo finito la benzina, c’è un vuoto d’aria? Se lo sappiamo, avremo anche la prontezza di spirito per rimediare alle situazioni meteo avverse.

E poi c’è il secondo aspetto, comunicare – dicevamo – è semplice: non complichiamoci la vita. Provare a spiegare concetti non chiari nemmeno a noi stessi è il massimo. Non c’è modo migliore per dare una pessima idea di noi stessi. Parlare di ciò che conosciamo bene e se un argomento non lo conosciamo o se stiamo seguendo un’emozione ancora non completamente afferrata, ammettiamolo. Chi abbiamo di fronte avrà pazienza nel seguirci, invece che giudizio, diffidenza o noia. Rimanere semplici costa grande fatica perché vorremmo dire tutto e subito, così però, complichiamo tutto: rimanere semplici non vuol dire essere banali.

La semplicità porta una conseguenza bellissima, riusciremo a rimanere in contatto con il nostro interlocutore. Sapremo meglio dove l’altro è, emotivamente, mentre gli parliamo. E questo è impagabile, infatti è rarissimo parlare e riuscire a farsi ascoltare. Credo che tutti abbiano sperimentato questa situazione dove o noi o l’altro è più occupato a parlare che a farsi seguire.

In definitiva, comunicare è semplice ma rimanere semplici non è facile. Inoltre dobbiamo chiederci se quello che stiamo comunicando è veramente quello che vogliamo trasmettere. La consapevolezza, nella comunicazione, svolge un ruolo importantissimo. Portiamocene un po’ di più dietro, quando vorremo comunicare con maggiore efficacia.